Cos'è e come funziona un impianto di produzione dell'asfalto
Strade, autostrade, piste aeroportuali e pavimentazione dei parcheggi devono la loro resistenza alla qualità del conglomerato bituminoso con cui vengono realizzati.
Spesso capita di osservare la posa di questo materiale, che vediamo trasportare, stendere e pressare con gli appositi macchinari.
Sorge, però, una domanda: come nasce esattamente l’asfalto? Alla base della sua produzione c’è un sistema complesso, altamente tecnologico: l’impianto di produzione dell’asfalto.
Scopriamo nel dettaglio cos’è e come funziona.
Cos’è un impianto di produzione dell’asfalto
Un impianto di produzione dell’asfalto è un sito industriale progettato specificamente per la fabbricazione del conglomerato bituminoso. Questo materiale, lo ricordiamo, è una miscela dosata di aggregati lapidei (materiali inerti come pietrisco, graniglia e sabbia) e, appunto, bitume, che agisce da legante. La funzione dell’impianto è combinare questi elementi nelle giuste proporzioni e alle corrette temperature per garantire un prodotto finale omogeneo, durevole e adatto alla posa.
Gli impianti per la produzione dell’asfalto possono essere classificati in diverse tipologie, principalmente in base alla loro mobilità: esistono impianti fissi, destinati a servire un’area geografica definita per un lungo periodo, ma anche impianti mobili o trasportabili, progettati per essere assemblati e smontati rapidamente in prossimità di grandi cantieri, ottimizzando così la logistica e i costi di trasporto del materiale, che (nel caso dell’asfalto a caldo) deve essere mantenuto a temperature elevate.
Le parti di cui è composto l’impianto d’asfalto
Un impianto per la produzione dell’asfalto, sebbene possa variare in dimensioni (e, dunque, in capacità produttiva), è composto da una serie di componenti fondamentali che lavorano in sequenza. La struttura è generalmente modulare e si sviluppa sia in orizzontale, per lo stoccaggio delle materie prime, sia in verticale, per sfruttare la gravità nelle fasi di miscelazione dei materiali.
I componenti principali includono:
- predosatori degli aggregati: sono grandi scomparti dove vengono stoccati i materiali inerti (pietrisco, sabbia, graniglia) suddivisi per dimensione (granulometria). Da qui, nastri trasportatori estraggono le quantità predefinite di ogni materiale;
- tamburo essiccatore: si tratta di un grande cilindro rotante, leggermente inclinato, dotato di un potente bruciatore a un’estremità. Gli aggregati prelevati dai dosatori entrano nel tamburo e, mentre avanzano verso l’uscita, vengono investiti da un flusso di aria calda che svolge una duplice funzione: rimuove completamente l’umidità (essenziale per l’adesione del bitume) e riscalda gli inerti fino alla temperatura di lavorazione, che si attesta solitamente tra i 150°C e i 180°C;
- filtro a maniche (depolveratore): il processo di essiccazione genera una notevole quantità di fumi, vapori e polveri sottili. Questi effluenti vengono aspirati dall’essiccatore e convogliati al sistema di filtraggio, quasi sempre un filtro a maniche. Questo dispositivo cattura le polveri, che possono essere reintrodotte nella miscela, e depura i fumi prima che vengano rilasciati in atmosfera;
- torre di miscelazione: rappresenta il cuore dell’impianto negli impianti discontinui. Gli aggregati caldi vengono trasportati in cima alla torre da un elevatore a tazze. Qui, un vaglio selezionatore separa nuovamente gli inerti in diverse pezzature, che vengono stoccate in scomparti sottostanti (sili caldi); Possono eventualmente essere indirizzati anche in un silo di stoccaggio senza che passino per il filtro, per una dosatura detta “diretta”;
- sistema di pesatura e mescolatore: sotto i sili caldi, un sistema di bilance pesa con precisione le quantità richieste di ogni aggregato, del bitume (stoccato caldo in serbatoi appositi) e di eventuali filler o additivi. Tutti i componenti dosati vengono quindi scaricati nel mescolatore, dove vengono amalgamati per un breve periodo (meno di un minuto, solitamente per un tradizionale si mescola per 25/30 secondi a seconda del mescolatore) fino a ottenere il conglomerato bituminoso omogeneo;
- sili di stoccaggio del prodotto finito: una volta pronto, il conglomerato bituminoso caldo viene trasferito nei sili di stoccaggio. Questi sili sono coibentati per mantenere il materiale alla temperatura corretta, pronto per essere caricato direttamente sugli autocarri che lo trasporteranno in cantiere.
Come funziona l’impianto: le fasi di produzione
Il processo di produzione dell’asfalto segue una sequenza precisa, controllata e ampiamente automatizzata, fondamentale per garantire la qualità costante del prodotto.
Il ciclo ha inizio con l’alimentazione degli aggregati freddi dai predosatori. Le diverse frazioni di inerti vengono dosate secondo il mix design stabilito e inviate tramite nastri al tamburo essiccatore. Qui avviene la fase termica: gli aggregati vengono asciugati e riscaldati alla temperatura operativa. Solitamente saranno i dosatori dei fini a partire per primi ed a seguire quelli dei grossi che sono più rapidi e di conseguenza per un dosaggio corretto partono in seguenza dopo agli altri.
Contemporaneamente, il bitume viene mantenuto fuso in cisterne riscaldate ( possono essere riscaldate tramite olio diatermico oppure con resistenze elettriche). Il percorso degli inerti caldi dipende dalla tipologia dell’impianto:
negli impianti discontinui (batch), i più diffusi in Europa per la loro precisione, gli aggregati salgono alla torre di miscelazione. Dopo la vagliatura, le frazioni vengono pesate individualmente per ogni lotto di produzione, insieme alla quantità esatta di bitume e filler. Solo allora avviene la miscelazione;
negli impianti continui aggregati e bitume vengono dosati in modo continuo e la miscelazione avviene all’interno dello stesso tamburo essiccatore (oppure in un mescolatore esterno posto in linea).
Una capacità sempre più richiesta agli impianti moderni, legata in particolare ai temi dell’economia circolare e della sostenibilità, è quella di utilizzare materiale riciclato. Il conglomerato rimosso dalle vecchie pavimentazioni stradali, noto come RAP (Reclaimed Asphalt Pavement) o fresato d’asfalto, può essere reintrodotto nel ciclo. Per fare ciò, l’impianto deve essere dotato di sistemi specifici, come tamburi paralleli o anelli di riciclaggio, che permettono di riscaldare il RAP senza bruciare il bitume invecchiato che contiene, mescolandolo poi con aggregati vergini e nuovo bitume.
Per un corretto uso di granulato in impianto, vengono utilizzate due linee di inserimento: una detta “linea a freddo” e l’altra nota come “linea a caldo”; la prima porta il RAP verso il mescolatore e viene introdotto mediante pesatura direttamente nella mescolazione finale (e quindi senza preriscaldamento). La linea a caldo, invece, porta il RAP quasi alla fine del tamburo di essiccazione, con il granulato viene preriscaldato e aggiunto alla linea di produzione assieme agli altri inerti.
La combinazione tra le due linee di immissione dei fresati fa sì che l’impianto possa, con le dovute precauzioni, raggiungere buone percentuali di aggiunta di fresato senza compromettere le prestazioni finali della miscela.
L’intero ciclo di produzione, dall’alimentazione al carico sui camion, è costantemente monitorato da software di controllo che gestiscono temperature, pesi e tempi di miscelazione per assicurare che ogni carico di asfalto rispetti le specifiche tecniche richieste.
Industria insalubre: facciamo chiarezza
La produzione di asfalto è spesso percepita come un’attività altamente inquinante e associata a rischi per la salute, tanto da rientrare storicamente nella classificazione di industria insalubre. Questa percezione è legata all’impatto che gli impianti di vecchia generazione avevano sull’ambiente, principalmente a causa delle emissioni di fumi, polveri e odori.
Negli ultimi decenni, la tecnologia e le normative ambientali hanno radicalmente trasformato il settore. Gli impianti moderni sono progettati per minimizzare l’impatto ambientale, un fattore il cui punto cardine è il sistema di filtraggio: i fumi e le polveri generati dal tamburo essiccatore non vengono più dispersi, ma vengono captati e trattati nel filtro a maniche; questi sistemi hanno un’efficienza di abbattimento del particolato molto elevata, spesso superiore al 99,9%.
Ciò che spesso si osserva fuoriuscire dai camini di un impianto moderno non è fumo di combustione, ma prevalentemente vapore acqueo, risultato dell’evaporazione dell’umidità contenuta negli aggregati durante l’essiccazione. Anche le emissioni odorigene, pur rimanendo una potenziale criticità legata alla natura del bitume, sono state notevolmente ridotte grazie a sistemi di captazione e trattamento. I camini di emissioni vengono inoltre monitorati e annualmente controllati.
Alcune regioni e province hanno abbassato ulteriormente gli standard di emissione, e questo porta i produttori a valutare nuove tecnologie che possano rispettare questi termini; in questo senso, gli asfalti tiepidi rappresentano una delle soluzioni più apprezzate.